GIGI PARLA DI PANGEA E RASHOMON E anche quest’anno eccoci a fare i conti con un pugno di nuovi musicisti che stanno “affilando le arti” per il gran finale. Abbiamo corretto il tiro su alcune cose e credo che il format del nuovo Premio Augusto Daolio sia ancora più a fuoco rispetto alla capacità di tirare fuori il meglio dai concorrenti che si sono iscritti. A me il sorteggio ha riservato due gruppi di fuori Reggio provincia: Rashomon da Modena e Pangea da Carpi. Dopo il primo incontro con entrambi posso dire che sono due band dalla forte personalità e dalle idee molto chiare. Mi ha colpito il loro impatto “live”. La loro potenza sonora era penalizzata dai demo che ho sentito. Ho voluto sentire la loro produzione prima di incontrarli, così da potermi fare un’idea della loro storia. Quindi ho ascoltato più materiale di quello indispensabile per la finale. Ci sono due elementi che accomunano queste band: l’originalità delle scelte timbriche. Mi stimola molto infatti l’idea che una formazione non usi esclusivamente gli strumenti classici del rock e che il classico asse chitarra-basso-batteria possa essere sovvertito. I Rashomon sono i primi con i quali ho lavorato e complice un intoppo sull’autostrada che ha ritardato l’arrivo di Simone, il chitarrista, ho avuto modo di fare una lunga chiacchierata davanti ad un caffè in Piazza Zanti, con Kheyre e Matteo, gli altri due membri del combo, rispettivamente voce/tastiera e batteria. Questo aspetto della comunicazione ha un valore importantissimo. Mi sono trovato subito in sintonia con loro, sintonia confermata anche durante il lavoro nella sala prove del Calamita. Scelta molto originale la loro di non avere il basso. Il suono risulta molto essenziale, perché Kheyre si dedica soprattutto alla voce e il risultato del loro “nuclearblues” (come mi piace definirlo) è dirompente. Abbiamo lavorato su alcune strutture ritmiche e costruito insieme la stesura di un nuovo sorprendente brano. Ho consigliato l’intervento e il suono della tastiera in parti dei brani dove a mio avviso il suo ingresso rendeva ancora più deflagrante il suo impatto. Alla fine del tempo passato insieme la sensazione è stata di grande forza e forte identità. Una originalissima rilettura dei canoni del rock ed una forza espressiva eccezionali. Sono molto soddisfatto. Bel gruppo!!! Lo stesso posso dire per i Pangea che invece ho ospitato nel mio studio, luogo quasi leggendario, non fosse altro perché ci sono passati a suonare alcuni mostri sacri come Jon Anderson dei Jethro Tull e David Jackson dei Van Der Graaf Generator, e forse l’alone quasi magico che hanno lasciato in quella stanza sarà arrivato a Matteo che è il saxofonista del gruppo. Parlavo prima di identità sonore, ecco i Pangea sono un’altra di quelle realtà che di questa ne hanno da vendere. La cosa che mi ha colpito maggiormente è la differenza di qualità tra i demo che avevo ascoltato e la vera sostanza dei 4 musicisti: Marou (batteria), Riccardo (basso) e Dario (voce e chitarra) che insieme a Matteo formano un progetto dalle forti tinte “indie” ma che non si può incasellare esclusivamente in quella definizione, mi verrebbe da dire che il loro approccio è quasi prog. E’ la filosofia di scrittura che li accomuna…brani espansi, non codificati nel classico format dei 3 minuti e 30, una vera e propria poesia in musica. I loro pezzi erano talmente a fuoco che non c’è stato bisogno di intervenire cambiando cose, dove invece ho pensato di cambiare qualcosa è sulla cover di Ivan Graziani, “Pigro” peraltro riletta in un modo personalissimo- Lì il mio zampino sulla ritmica, anche della divisione del testo sul ritornello, è venuto a galla, ma anche qui le loro idee erano molto ben imbastite e si è trattato di piccoli aggiustamenti. E’ naturale, come verrebbe da pensare, che l’oste non direbbe mai che il proprio vino è scadente, ma se il vino è di scarsa qualità il cliente se ne accorgerebbe all’istante…e i clienti spero saranno numerosi venerdì 3 giugno per la finale, così da poter apprezzare questi “prodotti d.o.c.” della nuova musica italiana.
TAVER COI SUOI SOLISTI: ICIO CARAVITA E GIACOMO CANTELLI I sorteggi sono aleatori, sfidano le certezze e portano a fare ipotesi che poi puntualmente si rivelano nel loro esatto contrario. Certo è che ogni tutor, il sottoscritto, Jukka e Gigi, avevano magari le proprie preferenze e magari avevano già idealizzato i vincitori e di conseguenza la vittoria sarebbe stata felicemente condivisa. Però arriva il sorteggio insindacabile e indiscutibile e ci si trova di fronte alle decisioni del caso, ai capricci del destino. Allora l'inaspettato fa incontrare note e mondi musicali che possono essere distanti, diversi e che magari non si sarebbero mai incontrati se non ci fosse questo arcigno e resistente concorso musicale. A me quest'anno sono arrivati in dono Icio Caravita e Giacomo Cantelli e devo dire che in fondo sono stato fortunato, un po' come l'anno scorso grazie all'incontro con i Radio Alice e con la loro vittoria. Parlavo di fortuna, perchè al di là dei generi, dei gusti, della sensibilità, dei suoni e delle parole, mi sono capitati due autori, due persone che scrivono musica e testi. Due musicisti che mettono la propria storia, la propria esperienza, la propria faccia al servizio della canzone. In questo momento ho una predilezione per la forma canzone e per ciò che si muove dentro a questa griglia musicale, dentro a un formato stabilito, dentro ai confini. Sapere esprimersi in pochi minuti, in poco spazio, dentro ad una canzone non è facile, richiede un certo ingegno, senso dell'economia e dell'ecologia, un po' come quando occorre sfruttare i piccoli spazi di una piccola casa per renderla il più possibile funzionale, abitabile, accogliente. Scrivere canzoni è segno di capacità, maturità, di comprensione dell'essenziale. Oggi c'è urgente bisogno di ritornare a questa pratica un po' carbonara, da artigiano, solitaria e irta di ostacoli, costruire brani con fatica e sudore per contrastare la facile e puerile produzione intensiva di falsi, imitazioni, fac-simile. Con Icio, ahimè, per suoi impegni personali non si è potuto consumare l'atto finale, poiché lo spostamento per maltempo della finale non gli ha permesso di essere presente il giorno successivo al Calamita. Rimane però una amicizia in corso e una sua evidente onestà nel raccontare storie, le sue storie, che senza fronzoli o sovrastrutture vogliono parlare al cuore, vogliono dare una visione della vita, la sua vita che si riversa nei suoi brani. Una voce, una chitarra, un moderno menestrello come ama definirsi, ma che ci riporta ad una storia di altri girovaghi da Woodie Guthrie in poi, colui che sulla sua chitarra aveva scritto “this machine kills fascists”. Con Icio non c'è stato bisogno di un grande lavoro in studio, visto che si tratta di composizioni acustiche, scarne, minimali, di impronta roots, un cantautore acustico che si accompagna anche con una ritmica da busker di strada: un tamburo battente, un tamburello e una armonica a bocca. Forse abbiamo discusso più di quello che ci circonda, delle nostre visuali del reale, del nostro essere musicisti con tutto quello che ne comporta, nel bene e nel male. Poi naturalmente si è anche lavorato nel limare, compattare, confezionare: in particolare con la cover del grande Piero Ciampi. “Andare, Camminare, Lavorare” è un pezzo con forti connotazioni sociali, uno specchio dei tempi (allora erano gli anni '70) estendibile però all'oggi visto che le parole del testo si adattano magicamente al nostro momento di decadenza politica e culturale. Dal punto di vista dell'arrangiamento ho cercato di accentuare l'aspetto di “protest-song” portando il mood verso uno stile a la Johnny Cash. Icio non c'è stato in finale ma ci saranno altre occasioni per incontrarsi. Giacomo Cantelli c'è stato invece in finale, eccome se c'è stato! La sua è stata una ottima performance. Completa: sia sul modo di stare sul palco, sia per l'almaga e l'affiatamento con la sua band, per la passione e l'interpretazione, per la vocalità. Credo che Giacomo avrà un futuro sicuro se saprà gestire e progredire come già sta facendo. Le idee sono chiare, lo stile è personale e quando si dice personale non vuol dire che stiamo parlando di un alieno, perchè mille sono i riferimenti, tanti sono i rimandi, i richiami, ma alla fine Giacomo riesce a filtrare, a fare proprie le ispirazioni più disparate. Giacomo sa scrivere belle canzoni. Semplicemente POP e quando uso questo termine non intendo la musica plasticosa che invade i network radiofonici, ma quel pop che è arte nel creare cose allo stesso tempo intelligenti e memorizzabili, Cantabili ma capaci di scatenare un ragionamento. Pop di ottima fattura, raffinato, probabilmente prossimo a diventare colto. Insomma quei dischi che si ascoltavano in formato album, che disegnavano un percorso, che contenevano tante cose. Con Giacomo e la sua band ci siamo trovati in sintonia da subito, aiutati dal vino sempre a disposizione, ospitati in un rifugio di un architetto dove stavano in bella vista riviste di design e architettura, dove all'improvviso poteva sbucare un rospetto svegliato dalla musica. Anche in questo caso il lavoro di tutoraggio mi è stato facilitato dal fatto che c'era una fisionomia già delineata, una personalità esuberante, un cosciente uso e dosaggio dei suoni e delle parole. Ho cercato di sottolineare, evidenziare le particolarità, lo stile, abbiamo tagliato qualcosina, bucato qua e là, focalizzato, ottimizzato, pensato a una scaletta ideale, abbiamo infine convenuto sulla lettura intima di “La musica che gira intorno” di Ivano Fossati, cover assegnata dalla sorte ma già interiorizzata da Giacomo. Nella finale si è capito subito che si sarebbe giocato il tutto tra i Rashomon (vincitori) e Giacomo che, detto dalla giuria, ha ulteriormente convinto nella sua esibizione. Il secondo posto è stato meritato, ma ancor più meritato è stata le vittoria del premio Scafandro, novità di questa edizione del Daolio e che mi vede coinvolto. Con Giacomo dunque presto ci troveremo a lavorare di nuovo insieme, con l'apporto del buon Luca Pernici, il risultato sarà un singolo che successivamente sarà lanciato sul web e nella radio nazionali. Penso che Cantelli non possa che uscirne bene e penso che in tanti si accorgeranno dei suoi preziosi incisi e ritornelli. Cosa non da poco, perchè non si tratta di slogans o facili canzoncine, ma di melodie e parole che smuovono nel profondo, come (ma non ti esaltare...eh Giacomo!!) solo i grandi autori sanno fare.
JUKKA ALLE PRESE CON MALASTRANA E DIVISIONE SYPHON
La mia prima esperienza come tutor è stata decisamente interessante, perché mi ha fatto avvicinare alla musica da una prospettiva diversa: quella dell'osservatore critico al lavoro di altre menti. È interessante poter pensare con e sul lavoro di altri. Mette prima di tutto in discussione le tue metodologie di lavoro, il tuo modo di pensare la musica il tuo modo di sentire la musica. Ti confronti con il lavoro intellettuale di altre persone e questo penso sia un momento di crescita per entrambe le parti coinvolte, che va ben oltre il risultato finale. Quindi vorrei chiudere questa trombetta iniziale ringraziando chi mi ha coinvolto in questa esperienza ma in modo particolare i due gruppi con cui ho lavorato. Entrambi sempre attenti alle mie impressioni/idee ma anche pronti ad argomentare le loro scelte in modo puntuale e preciso. I Malastrana sono un gruppo solido. Oddio, vai in sala prove, li guardi e ti dici "ma come sono assortiti questi?" "ma sono gli unbelievable cazzons" "questo parla sempre quello parla mai...quello quando arriva....questo sembra il genio degli strumenti autocostruiti...questo è lo sballone del gruppo". Dovete pensare che chi frequenta per anni l'ambiente così chiamato "indie" molto spesso l'apparenza diventa più importante delle canzoni (e poi si sente nei dischi sta cosa, non si scappa). Capita però che poi incontri un gruppo come i Malastrana, vai in sala prove con loro ed appena iniziano a suonare vieni travolto da una padronanza del suono impressionante. Non sto parlando di tecnica strumentale accademica o di scrittura dall'iperuranio, sto semplicemente dicendo che i Malastrana hanno un suono. Provo a ripeterlo: i Malastrana hanno un suono. Personale, preciso, definito, inconfondibile. Questo, per quello che ho appreso nella mia modesta carriera, è essere un gruppo. Maneggiare il suono. Questa caratteristica ha permesso ai Malastrana di prendere "Stalingrado", un pezzo impegnativissimo, e farla loro nel tempo di 5 esecuzioni durante una prova. Io ringrazio i Malastrana per il percorso fatto assieme, quella strada gelata su cui abbiamo marciato (il condizionatore della sala prove). "Come l'acciaio resiste la città " stessa cosa dovranno fare i Malastrana! Ed eccoci a dei veri unbelievable cazzons. Si chiamano Divisione Syphon e cantano di Coviolo e Pratofontana, sicuramente il modo migliore per immaginarsi un futuro musicale oltre la tangenziale di Reggio Emilia... riuscissero poi a fare delle prove....e a suonare almeno un paio di ore quella volta che si vedono al mese... capissero chi suona la batteria per loro: l'ottico o il maestro di musica diplomato in pianoforte? (addirittura il tutor senza neppur esser presentato bene si è seduto dietro i tamburi mentre maneggiavano la cover per la prima volta). Anche questi però hanno quel vizio maledetto. Attaccano gli strumenti e capisci che sì, c'è del buono, potenzialmente del molto buono. Perché quando meno si sentono le influenze i Disione sifone ti fanno capire che potrebbero davvero togliersi delle soddisfazione per regalarne anche a voi. A me questa cosa è apparsa evidente durante la finale. So che è successo anche a molti di voi. I primi due pezzi sono stati quello che dovrebbe esser il rock doc di provincia: diretto, onesto, contagioso, energico, ruspante e vero. Pensando al risultato finale del concorso mi sarebbe piaciuto poter dire "adoro i piani ben riusciti", ma, Divisone non temere il percorso assieme non è terminato il 4 giugno.
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